Assioma: non siamo noi che scegliamo i libri, ma sono loro che scelgono noi… a volte e' la copertina suadente, a volte bastano poche parole scritte in un fucsia su sfondo oro: "Se il Sole Muore"… Appena ho visto quell'accostamento di colori, che mai avrei definito possibile , ho preso in mano il libro ed ho guardato il retro: una foto in bianco e nero di Oriana Fallaci.
Sotto la foto, dove la scrittrice è ritratta con una sigaretta in mano, con buona pace di Girolamo Sirchia, ci sono due frasi tratte dal "New Yorker" e da "Il Mondo". Quest' ultima mi ha colpito in particolar modo:"E' il resoconto, minuzioso e crudele, d'un viaggio, d'un periodo trascorso fra gli astronauti americani, assistendo al loro lavoro, ai loro esperimenti, all'insorgere delle speranze, al cadere delle illusioni…".
Mi sono rivisto in quella frase, non perché io sia mai stato astronauta, né perché abbia mai avuto possibilità di esserlo, più che altro per essermi avvicinato il più possibile al mondo della ricerca spaziale, e, di conseguenza, per aver lavorato ad esperimenti, con l'insorgere di speranze ed il cadere di illusioni, il tutto, ovviamente, con le dovute proporzioni.
Il libro è ambientato nel 1964, quando Oriana Fallaci ha intrapreso un viaggio negli Stati Uniti per intervistare i protagonisti della corsa allo spazio, interrogando tutti gli attori di quella storia che è culminata con lo sbarco di Neil Armstrong sulla Luna. Da quel viaggio è nato "Se il Sole Muore", che può essere considerato una sorta di diario di quei giorni, un diario dove la Fallaci descrive minuziosamente i personaggi incontrati ed intervistati, a partire dai medici della Nasa, per arrivare agli astronauti.
Il primo ad essere intervistato è stato tuttavia Ray Bradbury, uno dei massimi autori di fantascienza, che l'avevo personalmente elevato al rango di mito a tal punto che non pensavo fosse possibile presentarsi a casa sua, suonare il campanello e dire "Salve Mr. Bradbury, come va?". Di solito le interviste sono una fredda sequenza di domande e risposte, la Fallaci riesce a trasformarle in una sorta di diario personale, dove non nasconde nulla delle sue impressioni su chi le sta di fronte. La domanda che pone a tutti gli intervistati è sulle motivazioni che sostengono lo sforzo di andare nello Spazio e confronta le risposte con quella che le diede suo padre, prima che intraprendesse il viaggio.
Lo stile narrativo è una sorta di flusso di coscienza che viene tuttavia convogliato nel tentativo di rispettare l'ordine cronologico degli avvenimenti, tuttavia la Fallaci spesso e volentieri devia improvvisamente costringendo il lettore a seguire il suo schema mentale, inizialmente illogiche vista le variazioni repentine imprevedibili di direzione del flusso. Tutto ciò porta a salti indietro nel tempo, in particolare a ricordi legati alla sua esperienza di vita vissuta durante la seconda guerra mondiale, dove, a Firenze, ha vissuto le esperienze dei bombardamenti americani e dell'occupazione tedesca. E' quest'ultima esperienza che le pone maggiori difficoltà nello svolgere il suo lavoro, in particolar modo quando deve intervistare, ironia della sorte, il barone Von Brown, direttore del programma spaziale americano, dopo essere stato l'artefice della realizzazione delle famigerate V2 che bombardarono Londra. L'intervista va superando il momento iniziale di antipatia e di repulsione, descrivendone persino l'odore da tedesco che la scrittrice prova per colui che fino 20 anni prima realizzava strumenti di morte.
Le interviste agli astronauti fanno maggiormente capire il clima di quegli anni e le motivazioni di coloro che vi hanno preso parte ma soprattutto chi erano quelle persone che erano disposte a rischiare la vita, sparati in alta quota all'interno di un guscio metallico. Si percepisce il desiderio del progresso per l'umanità che significava il programma spaziale americano. Le motivazioni ideologiche e patriottiche, tipiche della Guerra Fredda, rivestono un ruolo marginale, visto che i Sovietici erano considerati avversari, piuttosto che nemici.
Alla fine della lettura sono rimasto soddisfatto di aver conosciuto a fondo un pezzo di storia che di solito viene raccontato solo a partire dal suo culmine avvenuto con sbarco sulla Luna. Non e' stata tuttavia una facile lettura per me, visti i continui salti logici che spesso mi hanno disorientato, ma che forse mi hanno costretto a ritornare più volte sui miei passi, evitando che alcune impressioni scivolassero via troppo facilmente.
Mi è piaciuto, ma spesso mi ha fatto male, mi ha anche ferito, ha contribuito a far cadere alcune di quelle illusioni che ancora erano in piedi.
Una di queste è legata alle speranze di molti protagonisti della corsa allo Spazio, di non fermarsi sul nostro satellite ma di procedere oltre, ad esempio verso Marte.
Alcuni prevedevano, o davano per certo, uno sbarco sul Pianeta Rosso per l'anno 2000, dopo aver realizzato una base lunare entro il 1990. Sono passati 40 anni, e nulla di ciò si è realizzato. Facciamo fatica a mandare una navetta a 400 Km di altitudine, e dobbiamo incrociare le dita sperando che riesca a rientrare sana e salva, come mai potremmo sperare di continuare a fare progressi in campo spaziale? Leggendo il libro ho avuto impressione nauseante che abbiamo perso tempo in questi ultimi 40 anni. Abbiamo perso tempo e sprecato risorse. Cosa avremmo potuto fare se avessimo impegnato le nostre risorse diversamente da come abbiamo fatto?
Ho scoperto i cheat sheet grazie all' articolo di Alessandro Vinciarelli su www.programmazione.it . I cheat sheet non sono tutorial schematici e minimali, relativi a svariati argomenti. Una raccolta è disponibile su: www.cheat-sheets.org
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